Grande mostra della galleria Parigina. La ricorderò per sempre come la prima realizzata dopo una guerra che ha lasciato gli artisti di tutto il mondo più soli che mai.
di Guido Talarico
In beata solitudine, quella del giorno dopo la riapertura delle gallerie, quindi figlia di questa orribile pandemia ma pur sempre beata, perché vedere da soli una grande mostra è pur sempre un privilegio, eccomi nella Galerie Perrotin a Parigi pronto a gustarmi la mostra dedicata ad Alain Jacquet, il re della pop art francese morto a New York nel 2008. Non mi capitava da tempo di poter vedere una mostra senza la distrazione del pubblico, ma in galleria c’è lo stesso clima che si respira in tutto il Marais, un’aria postbellica con ancora poca gente ma con tutti pronti a ripartire. E i colori, la forza dei tratti di Jacquet aiutano: sono un inno alla vita, alla gioia, alla mobilità.
La mostra, concepita da Perrotin in stretta collaborazione con la famiglia dell’artista, copre diversi decenni della carriera di Jacquet e occupa i tre spazi della galleria. Tanto vario nei suoi processi e forme quanto coerente nei suoi principi, l’opera di Jacquet presenta un’incessante metamorfosi intorno al fenomeno della percezione. In “fatto a mano macchina1 “, tanto per fare un esempio, Jacquet esplora il modo in cui il nostro sguardo, nell’epoca della riproducibilità tecnica, è sempre infiltrato dalle immagini. Del resto, questo artista appartiene a una generazione che ha assistito all’espansione del consumismo e alla crescita a dismisura della produzione di immagini come strumento di comunicazione e di vendita. Jacquet nella sua opera, certamente come Andy Warhol e come i grandi maestri della pop art americana, gioca con queste immagini decontestualizzandole e sottolineando il loro valore astratto ed iconico.
Tanto diverso nelle sue tecniche e forme quanto coerente nei suoi principi, i lavori di Alain Jacquet costituiscono una serie continua di metamorfosi intorno al fenomeno della percezione. Da “100% fatto a mano” a “100% fatto a macchina1” il maestro parigino si impegna in continue sperimentazioni mettendoci di fatto sotto gli occhi i molti modi in cui il nostro sguardo è permeato da immagini figlie dell’epoca tecnologica nella quale viviamo. La ricerca artistica di Jacquet costruitasi nella seconda metà dello scorso secolo rimane di straordinaria attualità proprio perché l’era digitale che stiamo vivendo è caratterizzata ancora di più della precedente da questa ricchezza e tal volta sovrabbondanza di immagini coloratissime, variegate, potenti.
La sua ricerca su immagini, creatività e consumismo, come spesso accade ai grandi autori, nasce negli anni 60 mentre dall’altra parte dell’Atlantico i grandi della pop art americana cominciavano anche loro a cimentarsi sugli stessi argomenti. Nasce da qui la sua amicizia con Roy Lichtenstein è da qui che parte il suo ingresso a pieno titolo tra i maestri della Pop Art europea come, ad esempio in Italia, fu Mimmo Rotella.
La Galerie Perrotin è un gioiello incastonato in uno dei tanti meravigliosi cortili di Parigi. Andarci è sempre piacevole perché le mostre che curano sono sempre di qualità, ben curate e con un “accrochage” semplice ma efficace. Le tante opere di Jacquet, l’ho già detto, riempiono gli occhi di felicità. Ma questa mostra la ricorderò per sempre come la prima realizzata dopo una guerra che ha lasciato gli artisti di tutto il mondo più soli che mai.
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